LO STRAPPO E IL DIO DELLE PICCOLE COSE - ARUNDHATI ROY
Non potete immaginare la mia gioia nel trovare in copertina su Internazionale un articolo della mia scrittrice indiana preferita, Arundhati Roy. L’articolo parla di come il Covid-19 rappresenti per l’India e per i paesi più poveri, in cui milioni di persone vivono in baraccopoli senza assistenza sanitaria una vera e propria catastrofe, e mi ha riportato involontariamente al suo romanzo d'esordio, uno dei libri più belli che io abbia letto negli ultimi tempi: IL DIO DELLE PICCOLE COSE.
L’ho scoperto trovandolo citato in un romanzo di un’altra autrice internazionale che adoro, un’autrice turca, Elif Shafak, e mi ha colpito tantissimo. Innanzitutto per i diversi livelli temporali che l’autrice indiana riesce a creare, in un rimbalzo coerente tra passato, presente e futuro, e poi per il modo in cui - quasi come nell’eterno ritorno dell’uguale tanto evocato da Nietzsche - tutte le 300 pagine del suo libro riescano a convergere intorno ad un unico giorno, un unico punto, un unico enorme strappo.
Sì proprio uno strappo temporale, un giorno in cui cambierà tutto, un giorno che viene frammentato per tutta la narrazione del libro, che non è soltanto uno strappo provocato dal caso, ma anche profondamente necessario.
E’ della necessità di uno strappo che l’autrice parla nell’articolo sull’emergenza Covid in India.
E’ della necessità di uno strappo che l’autrice parla nell’articolo sull’emergenza Covid in India.
IL DIO DELLE PICCOLE COSE è stato scritto nel 1997, ma sembra che più di 20 anni dopo il suo messaggio non sia cambiato molto, non solo per quanto riguarda la situazione dell’India in cui, come scrive Roy, “la vera crisi del Covid-19 deve ancora arrivare. O forse no. Non lo sappiamo. Se e quando arriverà, possiamo essere sicuri che sarà affrontata con tutti i pregiudizi religiosi, di casta e di classe ancora al loro posto”. Qui fa in particolare riferimento alla minoranza musulmana ancora oggi accusata di spargere il virus nella società, ma soprattutto il riferimento è alla necessità di uno strappo che non sia generato dalla PAURA.
Infatti la paura, soprattutto quella irrazionale che può cogliere solo i bambini o i folli, o che rende tali appunto, la paura irrazionale che ci fa diventare pazzi quella sì che può creare uno strappo irreversibile, uno squarcio nella realtà, un unico punto capace di fagocitare tutto il resto. E’ così che succede al piccolo Estha, protagonista insieme alla sorella gemella del romanzo, che diventerà muto pur di nascondere e mettere a tacere il senso di colpa scaturito dalla paura irrazionale di essere raggiunto dall’uomo che aveva abusato di lui.
Velutha, è invece il dio delle piccole cose, colui che è capace di gestirla questa paura e di farne un’arma, un’arma potente: la sola capace di scardinare il vincolo terribile dell’eterno ritorno dell’uguale. Purtroppo però questo dio è soltanto un paria, un intoccabile, e non ce la fa a sconfiggere il mostro della macchina del pregiudizio sotto cui soccombe, e viene ucciso in maniera bestiale portandosi con se una spirale di morte tanto fisica, come quella della bambina bionda trovata annegata, quanto interiore, come quella dei due gemelli Estha e Rahel protagonisti della storia. Tutte vittime innocenti. Troppe.
Tuttavia, l’autrice ci spera ancora, e nel suo articolo appena uscito intitolato “L’altra Pandemia” rilancia di nuovo il suo messaggio di speranza, quasi invocando di nuovo quel dio - quell’uomo o quella donna - finalmente capaci di accettare lo strappo affinché non si ripeta più l’eterno ritorno dell’ingiustizia.
Scrive infatti Arundhati Roy:
“Cos’è questa cosa che ci sta capitando? E’ un virus, certo. In sé non ha nessun mandato morale. Ma è decisamente qualcosa di più di un virus. Qualcuno crede che sia il modo di dio per riportarci alla ragione. Altri che sia un complotto cinese per impadronirsi del mondo. Qualunque cosa sia, il nuovo coronavirus ha messo in ginocchio i potenti e fermato tutto il mondo come nient’altro avrebbe potuto fare.
Il nostro cervello continua a girare pensando al ritorno alla normalità cercando di cucire il futuro al passato e rifiutandosi di ammettere che c’è stato uno strappo. Ma lo strappo c’è stato. E in questa terribile disperazione, ci offre la possibilità di rivedere la macchina apocalittica che ci siamo costruiti. Nulla potrebbe essere peggio che un ritorno alla normalità.
Storicamente, le pandemie hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a immaginare il loro mondo da capo. Questa non è diversa. E’ un portale, un cancello tra un mondo e l’altro, Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, le nostre avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo.”
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