Ah è l’effetto dell’hashish! Ebbene aprite le ali e libratevi nelle regioni ultraterrene; non abbiate alcun timore, vegliamo su di voi; e se le vostre ali dovessero sciogliersi al sole come quelle di Icaro siamo qui per accogliervi.”
- A. Dumas, Il conte di Montecristo
«Non ricordare il giorno trascorso
e non perderti in lacrime sul domani che viene:
su passato e futuro non far fondamento
vivi dell'oggi e non perdere al vento la vita.»
- ʿUmar Khayyām, Rubʿayyāt
Il Conte di Montecristo, è un libro da leggere a botte di 300 pagine, ad averci il tempo. Ovviamente non ce l’ho e ci ho messo tanto a leggerlo, ma ne vale la pena!
Mi ha stupito che in molti - già dal titolo o perché imposto dalla scuola - pensano sia un libro sorpassato…tutt’altro, vi garantisco che è terribilmente attuale.
Anche io devo ammettere di averlo letto solo ultimamente, in età adulta.
Una delle cose che più mi ha colpito è la rilevante presenza nell'opera dell’hashish, non solo in quanto sostanza stupefacente, ma soprattutto quale veicolo di riferimento alla cultura mediorientale, in particolare persiana.
Dai riferimenti a Simba il Marinaio, al Vecchio della Montagna e ancora la fantastica e misteriosa figura della bellissima “greca” Haydée.
Siamo nella Francia del 1800. E’ noto come Alexandre Dumas appartenesse al club parigino di mangiatori di hashish, assieme ad altri meravigliosi scrittori e poeti come Victor Hugo, Baudelaire, de Balzac.
Non sono infatti rari gli accenni a tale pratica nella sua fantastica opera, in cui riprende più volte il discorso e in numerosi contesti.
Oltre a sperimentarla direttamente, ai poeti maledetti e agli scrittori dell’Ottocento interessava studiarne l’effetto sulla produzione artistica. Torniamo al tema caro al Romanticismo dell’ebrezza dionisiaca e della necessità di uscire dai confini del proprio io per raggiungere la “vera arte”.
L’hashish ispirò così Honorè Daumier per le sue litografie, Baudelaire per la stesura dei Paradisi Artificiali e Rimbaud per Il Tempo degli Assassini. Secondo alcune teorie il termine "assassino" deriverebbe appunto da al-Hashīshiyyūn, cioè "coloro che sono dediti all'hashish" (che deriva a sua volta da hašīš, “erba").
Poesie, racconti e novelle che oggi vengono annoverati fra i capisaldi della letteratura francese ottocentesca, sono nate dall’effetto prodotto da tale sostanza e descrivono minuziosamente l’ebbrezza prodotta dall’hashish durante le sedute collettive.
Forse è così. Certo questo può essere un punto interessante, ma io penso che tali opere immortali sarebbero nate comunque. Non sono medico, e la mia domanda e il mio interesse vertono su un altro aspetto. E’ solo l’hashish come sostanza a convergere nelle opere dei grandi scrittori francesi o vi è pure il forte fascino dell’Oriente che agisce come richiamo culturale a più livelli? Mi spiego meglio le poesie degli hashishin, dei poeti arabi medievali, si ritrovano nelle opere dei nostri poeti occidentali?
Sicuramente il tema della reclusione, della prigionia e della fuga dal carcere come rinascita innanzitutto interiore è centrale nell’opera di Dumas, almeno quanto lo è nell’opera dei poeti preislamici.
L’immaginario carcerario dell’Ottocento è oggetto del saggio di Victor Brombert, La prison romantique (1975), che mette in luce come nel Romanticismo la prigione assuma i tratti del sogno e della poesia, del ricovero delle anime travagliate; un luogo che consente al prigioniero di innalzarsi al di sopra del mondo materiale nell’aspirazione di cogliere l'assoluto. Il carcere assume quindi una funzione terapeutica e catartica. Dantès, protagonista de Il conte di Montecristo, ad esempio, conosce in prigione la rinascita e la liberazione proprio a partire dalla cella, una cella quasi monastica, occupata dall’Abate Faria, prigioniero sapiente.
Se guardiamo alla tradizione araba, vi è una lunga e antica tradizione di rielaborazione letteraria della prigionia, sviluppatasi attraverso una stratificazione di motivi e immagini ricorrenti risalenti al modello della storia coranica della detenzione di Giuseppe. La pazienza di Giuseppe nella prigione del Faraone, la sua capacità di sopportazione della prova, la sua serena accettazione del destino avverso, costituiscono un esempio da seguire nell’immaginario carcerario arabo per lunghi secoli.
Inoltre, nella testimonianze sulla prigionia di epoca medievale, è possibile individuare una serie di tematiche ricorrenti legate all’esperienza detentiva, “topoi” che caratterizzano la forma poetica delle ḥabsiyyāt di origine persiana. Tra questi temi si possono identificare quello dell’imprigionamento come ragione di orgoglio e di onore per l’uomo ingiustamente arrestato dai suoi nemici, cui si accompagna il motivo della coraggiosa sopportazione delle sofferenze della prigionia e della fierezza nell’affrontare le avversità. Il carcere viene così rappresentato, in queste antiche testimonianze, come luogo che accoglie l’uomo nobile che soffre, proclamando la propria innocenza e cerca redenzione cercando vendetta contro coloro che l’hanno ingiustamente accusato.
In Dumas a questa ingiustizia segue la vendetta, che ha veramente poco a che fare col perdono cattolico-cristiano.
Le droghe sono sbloccanti. Sarebbero forse nate comunque certe opere... ma alcune sostanze hanno un effetto che può rilassare e quindi predisporre... o addirittura ci sono droghe che pare, appunto, sblocchino parti del cervello (con i dovuti rischi). Io assumo Cbd (sostanza legale contenuta nella canapa coltivata appositamente per rientrare in certi parametri). Nelle schede allegate a queste scatoline ci sono i vari livelli della vita e il potenziale di azione: ci sono quelle più stimolanti, quelle rilassanti. Anche perché si usa in patologie serie dove occorre non sentir dolore o, ad esempio, stimolare l'appetito. Ecc...
RispondiEliminaCredo che tutto vada contestualizzato. A mio parere non è la droga che ti fa artista ma sicumente per questi autori ha, avuto una valenza. A prescindere dagli effetti, anche per via del contesto di vita
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