“Krishna, che Arjuna conosceva solo come auriga del carro possedeva un aspetto universale, che Arjuna un giorno riuscì a vedere. Quel giorno vide la Verità. Ecco, io ho visto il tuo aspetto universale nella mia patria. Il Gange e il Brahmaputra sono le catene d’oro che avvolgi intorno al tuo collo; nelle foreste che bordano le rive distanti, oltre le acque scure del fiume, ho visto le tue ciglia scure di kohl; nelle pieghe del tuo sari giocano luci e ombra come vento tra gli steli del grano; e il calore dell’estate che tramortisce il cielo come un leone assetato nel deserto non altro che il tuo crudele splendore.”
Quando un’opera scavalca i confini dello spazio e del tempo e giunge a noi in tutta la sua attualità dirompente, allora abbiamo davanti un’opera d’arte, allora stiamo leggendo un classico.
Tanto più se ogni frase è in realtà poesia.
Rabindranath Tagore, primo scrittore non europeo a ricevere il premio Nobel per la letteratura nel 1913, ci ha lasciato con il suo romanzo La casa e il mondo proprio questo, un’opera d’arte.
Nel romanzo si distinguono tre diversi punti di vista - quelli dei tre protagonisti - che si confrontano sullo stesso fenomeno. Le storie di Bimala, Nikhil e Sandip rappresentano tre diverse prospettive che si incrociano e fanno sì che al contempo si incontrino tra loro i diversi piani della realtà nella sua duplice declinazione interiore ed esteriore.
Al piano intimo delle relazioni personali, dell’attrazione tra uomo e donna e dell’impegno tra moglie e marito si alterna il mondo esteriore, o meglio tutto il peso della questione politica del Bengala di inizio Novecento, che vede al centro lo Swadeshi. Quest’ultimo fu una parte del movimento d'indipendenza indiano, volto a rimuovere l'Impero britannico dal governo e a migliorare le condizioni economiche dell'India, seguendo appunto i principi diffusi da Gandhi. Fu particolarmente forte in Bengala come strategia economica volta al rilancio dei prodotti e dei processi produttivi nazionali attraverso il boicottaggio dei prodotti britannici.
Il parallelo tra i rapporti intimi tra i tre protagonisti e la situazione politica dell’India fanno sì che la casa incontra il mondo; e la donna - o meglio la moglie -, il cui posto è quello della zenana, vale a dire la casa, si scontra col mondo e ne diventa centro indiscusso.
Bimala, viene a rappresentare agli occhi di Sandip - leader radicale pronto ad utilizzare qualsiasi mezzo inclusa soprattutto la violenza per ottenere l’indipendenza - , la patria stessa; la nuova dea da venerare con il motto Bande Mataram! Salve Madre. Un falso idolo con cui blandire le masse incitandole al boicottaggio, ma pure con cui innalzare la donna attraverso la sua vanità oltre i vincoli del proprio matrimonio.
Ed è infatti proprio attraverso la venerazione, l’esaltazione della femminilità di Bimala che Sandip riesce a conquistarla, minando alle radici il suo fortunato legame con Nikhil.
Ma dove rimane in tutto questo Nikhil? Muto osservatore che vede sgretolarsi fra le sue mani l’idea stessa di amore su cui aveva fondato il proprio rapporto con Bimala, che vede sgretolarsi il sogno di un Bengala indipendente per via della violenza che non implica altro che ulteriore discriminazione.
Muto osservatore o fiero paladino della verità?
“‘Mia moglie’ … Corrisponde ad un assioma? a una verità?
E’ possibile imprigionare un’individualità, una personalità in queste due parole?”
Fatto sta che per una volta, forse per la prima volta, vi assicuro che non sono stata dalla parte del femminile. Nikhil e il suo razionalismo mi hanno conquistata.
Veramente molto interessante. Ho letto con piacere
RispondiEliminaUna storia che prende davvero ❤️ la foto poi è super ❤️
RispondiEliminaMi piace tantissimo questa storia ��
RispondiEliminaÈ bello informarsi attraverso gli sguardi altrui.
RispondiEliminaScrivi sempre in modo coinvolgente, adoro le tue recensioni
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