"La storia spesso somiglia al mito,
perché l’una e l’altro sono
in fin dei conti
della stessa materia."
“Desideravo draghi con tutto il mio cuore; naturalmente, peritoso com’ero, non mi auguravo di trovarmeli nei dintorni, a invadere il mio mondo relativamente sicuro in cui era possibile, per esempio leggere racconti in santa pace, immuni dalla paura. Ma il mondo che comprendeva Fàfnir, sia pure soltanto immaginario, era più ricco e più bello per quanto pericoloso fosse.”
Nel suo libro del 1964 “Albero e foglia” J. R. R. Tolkien ci trasporta nel mondo della fiaba, Feeria, il mondo della magia, da scrittore di fiabe che riflette sul proprio lavoro di narratore.
Ciò che più mi ha colpito è il modo in cui l'autore indaga il rapporto tra la fiaba e le bambine e i bambini, mettendo in dubbio innanzitutto che vi debba essere un rapporto privilegiato tra di essi.
Infatti, egli sottolinea come se è vero che i bambini abbiano un “naturale appetito per le meraviglie” questo non c’entra col fatto che essi siano più “creduloni” rispetto agli adulti, come a lungo si è ritenuto nella critica letteraria.
I bambini non hanno un particolare desiderio di credere, ma di sapere. Il godimento di una narrazione non è legato al fatto che essa corrisponda alla realtà. Ciò che devono risvegliare le fiabe, se vogliono raggiungere il loro scopo, è il desiderio e non la possibilità.
Secondo Tolkien una fiaba è genuina e può essere presentata come “vera”, non se il suo pubblico è credulone o propenso alla “volontaria sospensione dell’incredulità”, ma se l’inventore della fiaba è capace di creare un Mondo secondario in cui la mente del fruitore può entrare.
E’ essenziale per una fiaba che essa sia vissuta come reale, poiché essa tratta di “meraviglie”, non può tollerare alcuna cornice o meccanismo tale da far sorgere il sospetto che l’intera vicenda in cui ha luogo sia finzione o illusione.
In questo senso la fiaba costituisce un'evasione della realtà, soprattutto quando la realtà viene ridotta alla degradazione personale a fenomeni sociali. Allora diviene sempre più necessario creare nuovi mondi, magari migliori, magari pù accoglienti, ma pur sempre permanenti.
"Le fiabe parlano di cose permanenti, non di lampadine elettriche, ma di fulmini."
In questa cornice fantastica, in questo elogio da parte di Tolkien della fantasia riesco a capire meglio anche il suo rifiuto delle illustrazioni nelle fiabe per bambini, soprattutto se si tratta di immagini denotative, o semplicemnte raffigurative.
“Per quanto possano essere di per sé apprezzabili, le illustrazioni giovano poco alle fiabe… Se una storia dice “salì su un colle e vide un fiume nella valle sottostante”, l’illustratore può cogliere o quasi la propria visione della scena, ma chiunque ascolti questa parole avrà la sua propria visione, ed essa sarà composta di tutti i colli, fiumi e valli da lui visti prima di allora, ma specialmente del Colle, del Fiume e della Valle che furono per lui la prima incarnazione della parola.”
Questa critica viene a mio avviso meno nel caso dei picturebooks e di tutti quegli albi illustrati che vedono la componente visiva integrarsi a quella verbale in un'armonia e correlazione che rende il prodotto finale così appetibile per i nostri bambini e ragazzi.
Come ad esempio nel caso dell’Arca dei draghi, che con le sue splendide illustrazioni di fiabe da tutto il mondo può stimolare la fantasia dei ragazzi ad immaginarne anche di nuovi.
Adoro questo volume e tutto ciò che ha a che fare con i draghi e il fantasy. Capolavoro ❤️
RispondiEliminaMa quanto vorrei questo volume! Voglio assolutamente recuperare la lettura di "Albero e foglia" di Tolkien. Ps: che bello vedere sbucare anche "Il viaggio di Halla"!
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