Nel giorno della memoria mi sento di dover celebrare la forza della ribellione, della capacità di “sentire” l’altro anche a scapito della propria vita. E spesso, come sembrano voler dire gli autori di La bambina e il nazista Franco Forte e Scilla Bonfiglioli, sono i bambini con la loro innocenza a ricordare a noi adulti di avercela questa forza interiore.
Leggendo questo libro mi è venuto in mente ciò che Walter Benjamin ha definito le “figure marginali, depositarie della speranza del riscatto”.
Vale a dire i folli, le donne, i bambini, e persino gli animali: esseri immaturi, non cresciuti, imperfetti e spontanei che hanno rinunciato alla pretesa di certezze indubitabili e che proprio per questo possono riscattare la realtà.
Oppure: possono trovare la forza di opporsi alla Legge dello stato a favore della legge del cuore. Perché in fondo, conoscono solo questa.
Intervista a Scilla Bonfiglioli, co-autrice con Franco Forte del romanzo La bambina e il nazista.
1. Puoi raccontarci qualcosa di te, come è nata la tua passione per la scrittura? E soprattutto come è nata questa storia?
Ciao e grazie per questa opportunità! Ho sempre amato le storie, che fossero scritte, raccontate o rappresentate sulla scena e sono sempre stata una lettrice. Ho cominciato a scrivere come forse succede a molti, per la necessità di raccontare storie mie da donare agli altri, dopo averne lette e ascoltate tante. Per diverso tempo ho scritto per il teatro e ho lavorato come regista e attrice. Anche quello è stato un modo per raccontare che mi ha lasciato molti strumenti di narrazione, estremamente utili anche per la narrativa più tradizionale. Ho cominciato a pubblicare seguendo le iniziative della realtà editoriale della casa editrice Delos, tra i cui fondatori c'è Franco Forte che per me è tutt'ora un insegnante. I primi riconoscimenti li ho ottenuti studiando e lavorando per i concorsi Mondadori, che ogni anno cercano tra gli emergenti nuovi autori capaci di lanciarsi nel romanzo e nel racconto breve. Quella è stata un'autentica palestra.
L'idea de "La Bambina e il Nazista" è proprio di Franco Forte. Anni fa, documentandosi per altri lavori tra i reperti dei processi di Norimberga, si è imbattuto in un trafiletto. Era la testimonianza di una bambina ebrea intervenuta in favore di un soldato delle SS che durante la permanenza nei campi di sterminio le aveva salvato la vita. Poche righe, senza nomi né altro, che lo hanno folgorato e gli sono rimaste incastrate dentro per lungo tempo. Mi ha telefonato una mattina chiedendomi se ero intenzionata a lavorare con lui a un romanzo che raccontasse questa storia, che riempisse i vuoti ed emozionasse i lettori come quel trafiletto aveva emozionato lui. Mi sono innamorata di questa idea appena l'ho sentita ed è iniziato un periodo di studio e di lavoro molto duro, ma che ha lasciato entrambi soddisfatti. Per questo mi auguro che lo siano anche i lettori.
2. Alcune scene e situazioni del libro, relative ai campi di concentramento sono terribili, e la descrizione di Hans Heigel, il protagonista principale, entra molto nel dettaglio anche della sua interiorità. Secondo te, cosa lo distingue e fa sì che alla fine riesca a riscattarsi nonostante le atrocità commesse?
Hans Heigel non è un mostro e non è un eroe. Abbiamo cercato di raccontare quello che poteva essere un uomo nella sua normalità - Hans è un marito e un padre, prima di essere un soldato delle SS - con i suoi pregi e i suoi difetti. Non è forte abbastanza per imporsi a un regime che lo ha soggiogato, Hans si è lasciato irretire e condurre dai vincoli della società tanto da diventare un membro di uno dei reparti più cruenti dell'esercito tedesco. Ma è forte abbastanza per cominciare a lottare una volta messo con le spalle al muro. Anche se non viviamo situazioni estreme come questa, tutti noi prima o poi ci troviamo davanti a un bivio nella vita in cui ci viene chiesto di combattere per qualcosa di giusto, nonostante le conseguenze. Possiamo scegliere di farlo o fare finta di niente. Hans decide di lottare in prima persona, da solo contro qualcosa di enorme e oscuro. Questo lo riscatta, almeno agli occhi di una bambina che in lui ha riposto tutte le sue speranze.
3. Come è scrivere un libro a quattro mani?
Credo che sia molto più difficile che scrivere da soli, anche se è un tipo di lavoro che riserva grandi soddisfazioni. La fatica non è dimezzata, anzi raddoppia. Sono necessari molti compromessi, perché la voce degli autori coinvolti canti in coro e non in maniera dissonante, e sono necessari rispetto, complicità e grande fiducia reciproca. Franco Forte è un grande professionista e mi ha guidato in questo tipo di esperienza insegnandomi molto. Alla fine il romanzo non è di uno o dell'altro autore, è come se appartenesse a un terzo che è la somma di entrambi.
4. A che autori o personaggi del passato che hanno fatto la tremenda storia dell’olocausto ti sei ispirata in questo libro?
Abbiamo cambiato nome a diversi personaggi storici che compaiono nel romanzo, un po' per non offenderne la memoria e un po' per avere più libertà di manovra. Per esempio l'astuto ebreo Ariel Goldberg è ispirato a Leon Feldhendler, figlio di un rabbino polacco realmente deportato nel campo di Sobibor. Mikhail "Misha" Peterov è modellato sul soldato russo Aleksandr Pečerskij, detto Sasha, uno dei promotori della rivolta che ha portato alla libertà una parte degli ebrei del campo. Tra i personaggi femminili, quello di Alida Haller è ispirato a due donne terrificanti realmente esistite: Hermine Braunsteiner, assistente di reparto a Majdanek che condivide con Alida il soprannome di "Cavalla Scalciante" e che fu responsabile di atrocità nel campo femminile; e la terribile Ilse Koch, moglie di un gerarca e tristemente passata alla storia come "la strega di Buchenwald". Personalmente ho insistito inserire il personaggio di Margot, che ha un posto speciale nel mio cuore, ispirandola alla vera storia di una pittrice amica di Pablo Picasso. Nonostante gli interventi di Picasso, che ha smosso le autorità di più paesi per salvarla, l'artista e suo marito hanno trovato la morte in un campo di sterminio. Ho voluto renderle omaggio così.
5. Che messaggio vorresti dare con il vostro libro il giorno della memoria?
Questo romanzo non vuole certo sostituirsi alle testimonianze di chi è davvero passato per le atrocità della Shoah e le deportazioni politiche perpetrate dai nazionalismi del '900. Ma è una storia e io ripongo una grande fede nelle storie. Un poeta diceva che "narrare è resistere" e in un'epoca come questa, in cui per ragioni anagrafiche stiamo perdendo gli ultimi veri testimoni di questi eventi, è sempre più importante raccontare per non dimenticare e per non prestare il fianco a minacce che potrebbero ripetersi. Le storie sono quello che ci salva sempre, in un modo o nell'altro.
Bellissima questa intervista! Molto formativa
RispondiEliminaCome sempre le tue interviste sono illuminanti. Una poi così importante come questa dedicata al giorno della memoria, è davvero interessante
RispondiEliminaUn intervista davvero interessate complimenti davvero!
RispondiEliminaDecisamente un'intervista interessante che approfondisce molto il titolo!
RispondiEliminaUn’intervista molto interessante! Grazie
RispondiEliminaBella questa intervista 💓
RispondiEliminaChe bella intervista!
RispondiEliminaVeramente molto bella come intervista! Un libro che ricorda momenti duri di un tempo passato da mai dimenticare ✨
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