Ho sempre collegato il concetto di madre alla terra, la Madre Terra, dal latino mater, materia, qualcosa di terreno e ctonio, contrapposto al cielo. In questo libro per la prima volta ho visto il mare nella madre, senza la “d” che ha perduto nell’acqua insieme alla millenaria dicotomia che solo la terra ha col cielo. Effettivamente nell’orizzonte marino tutto si fonde, e diventa difficile distinguere il blu del cielo da quello del mare.
“Ci sono due parole che hanno il mare dentro, colmare e calmare. Lo sai perché?”
“Perché il mare calma l’animo e colma e riallinea lo spirito...”
E’ da un po’ che non leggevo un libro così. Così intenso, graffiante, intimo, come piacciono a me insomma…
Ci troviamo di fronte ad un POV duplice, quasi un dialogo muto tra madre e figlio, o meglio un epistolario. Un intreccio in cui non c’è contrapposizione, non c’è dualismo tra maschile e femminile o adulto e bambino: i generi sono fluidi non sono importanti, così come i ruoli standardizzati che perdono peso di fronte alla tragicità della vita. Ognuno consegna la sua storia all’altro senza pretese di verità assolute o assolutizzanti.
Accettare la tragicità dell’esistenza e’ la saggezza dei pescatori o dei “nerd del mare” , di chi ha imparato che “il mare prende ma poi restituisce”, un po’ come la vita appunto.
Questo libro parte dal mare e dalla sua saggezza, alimentato - come scrive l’autrice nel suo messaggio in bottiglia alla fine del libro (ma lo si capisce quando parla della balena ad esempio) “dalle leggende e dai lai bretoni”, quindi e’ un inno alla possibilità di rialzarsi sempre, anzi è un’incitazione a farlo.
Penso che oggi, più che mai, la balena nella bottiglia, che poi è l’immagine in copertina, rappresenta l’immensità di questo compito che abbiamo del doverci sempre rialzare quando la vita ci spezza. La differenza, scrive l’autrice, tra animale e uomo e’ proprio questa libertà di scegliere o di scegliersi, che a mio avviso più che una libertà e’ un dovere, come per la balena che deve ogni volta rituffarsi nella profondità degli abissi dopo aver sputato fuori il suo violento getto d’acqua.
“Era una virgola carnosa, una pausa nella scrittura della vita, un incanto che per un attimo riempiva gli angoli, mettendo a tacere pensieri e paure.”
Breve intervista all'autrice:
Da docente liceale, e avendo a che fare con tanti adolescenti in crisi e che purtroppo sono spesso troppo vicini al tema del suicidio, vorrei farti una sola domanda, per niente leggera, ma per me necessaria. Tra i vari temi che tratta, il tuo libro dice con forza no al suicidio, non lo condona e lo considera da un punto di vista penso molto utile per i nostri tempi. Che messaggio daresti ai giovani che ci pensano o che tentano il suicidio?
Il primo messaggio è quello di farsi aiutare. Spesso le persone che accarezzano l'idea del suicidio si sentono incomprese e lontane da tutti, mentre invece sono loro ad avere eretto delle barriere. Basta così poco per aprire una breccia... Il secondo di tenersi stretti i ricordi felici, non per viverli con nostalgia, ma per comprendere che sono ancora possibili, che possono ricapitare. La morte non ha nulla di nobile né di romantico, è bene ricordarlo.
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