Chiuso il libro, un gran rimpianto per saperne così poco di storia contemporanea del Vicino Oriente. Avrei voluto saperne di più effettivamente di paesi chiamati in causa quasi come fossero personaggi a fianco dei protagonisti umani del libro di Inaam Kachachi. Un libro scritto da dentro quelle realtà storiche che giustifica l’assenza totale di mediazione per il lettore europeo. In fondo si può dare per scontato il dovere di conoscere, perché i motori di ricerca li abbiamo. Ma si dovrebbe continuare a cercare, nomi di periodi politici, di personaggi storici, capire se invece altri sono filtrati dalla prospettiva del romanzo o meno. Questo però fa perdere il filo. Esiste una persona vera dietro il nome del crudele Professore, rampollo della casa reale, che imperversa nella vita dei sudditi e distrugge il futuro da violinista dall’orecchio assoluto di Widyan, assordandola con un orrendo contrappasso?
È a questa profuga irachena sorda e svantaggiata stabilitasi a Parigi che è affidato lo svelamento della protagonista Taji al-Mulik, altrettanto profuga, ma parigina acquisita per matrimonio e diventata madame Martine Champion. In questo solo sta la differenza della condizione sociale fra le due, perché il loro essere profughe le equipara in qualche modo e le unisce con un forte legame perché entrambe hanno dovuto dare molto in cambio.
A Widyan parla la ormai vedova Martine Champion, così come lo fa Taji al-Mulik, un nome che significa “la Corona dei re”. Un nome che è di per sé poesia e fin da piccola l’ha portata incontro a una vita di successi da giornalista a imprenditrice a confidente di politici. Un nome che mi è sembrato un frattale della passione della scrittrice per la bellezza e la poesia della lingua irachena, della bella scrittura in genere, un dono che Taji aveva elaborato sulla scia del mestiere del suo patrigno per il quale nutre nel corso della vita al contempo gratitudine e repulsione.
Adorata dagli uomini a cui si concede solo come icona, attraversa la propria esistenza mediorientale a passi leggeri e danzanti protetta da grandi occhiali da sole. Una specie di Audrey Hepburn dalla vita sottile e dall’energia vitale che devo dire mi ha attratto e in qualche modo distratto dalle ricerche storiche su google. Un passo svelto e danzante che affascina e trascina in una trama di lavoro, di vita e sensazioni su quanto una donna deve fare per poter sprigionare le proprie qualità, per poter prendere in mano la propria esistenza, per di più in un paese e in un tempo in cui di certo le donne non erano aiutate in questo.
Sullo sfondo mi è rimasto però il tema postcoloniale, le lotte dinastiche e identitarie che attraversano anni cruciali del “secolo breve” e arrivano fino ai giorni nostri. In quest’onda è trascinata Taji che si ritrova a fare la giornalista radiofonica in Pakistan da cui però dovrà scappare sotto gli occhi di un giovane adorante palestinese, con cui aveva condiviso un pezzo di vita lavorativa, una grande intesa sentimentale, ma non la fisicità dell’amore.
Intesa e affinità nella storia che si intreccia fra Taji e Widyan a Parigi. Una storia di amicizia e di corrispondenza di emozioni ogni volta che il loro paese viene chiamato in causa da avvenimenti politici. Widyan, completamente diversa da Taij, ma in qualche modo a lei complementare, stretta al suo fascino di donna che tiene i suoi ricordi nelle scatole di cartone sotto il letto e li scoperchia. Fotografie, scritti, lettere, i suoi articoli di giornale, ricordi che si possono toccare ma che in realtà danno vita nella relazione fra le due donne a qualcosa di molto simile al film Rashomon.
La verità della persona ha veramente moltissime facce e queste facce si confrontano nell’incontro - ma ci sarà mai stato? - con l’amore palestinese di una volta, fattosi esponente politico per il Venezuela di Chavez, anch’egli profugo, di successo, ma ancora più lontano dal suo paese. Dove si saranno incontrati veramente da anziani? Forse in una dimensione progettata da Widyan, attorno a una bella fontana parigina, sull’onda di un sentimento fatto di ammirazione, amore, ma anche di invidia, gelosia e odio.
Alla fine mi resta la lettura di un libro che va in tante direzioni e me ne ha aperto altre, a partire dalla primissima pagina dove trovo un elenco di cinque donne curatrici per la collana gliAltri di Francesco Brioschi Editore di altrettante sezioni dedicate a chi scrive per paesi in maniera davvero indipendente da noi e dal nostro modo di essere.
di Giovanna Bagnasco
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