In questi giorni faccio fatica ad utilizzare il mio canale social per parlare d’altro che non del femminicidio di Giulia Cecchettin e voglio farlo attraverso il mio libro, non perché voglio approfittarne per pubblicizzarlo, ma perché per ovvi motivi lo conosco bene e mi sento di poter aggiungere qualcosa a tutto ciò che è stato già detto. Condivido il dolore, la rabbia e il bisogno di riscatto.
Nel progetto “sorelle d’Italia” (Armando Curcio Editor) mi sono riproposta di portare allə ragazzə l’esperienza delle donne che hanno fatto la storia del nostro Paese, che mancano nei programmi scolastici e in generale nella memoria culturale degli italiani come dimostra, per citare un esempio fra tutti, la toponomastica.
Il secondo volume di una serie di sei, è dedicato alla principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso: donna di grandissimo ingegno, che durante il Risorgimento ha saputo con la sua vita e la sua opera intellettuale scardinare alcuni stereotipi del suo tempo.
Il libro uscirà il 24 novembre, un giorno prima della giornata “contro la violenza sulle donne” e poco dopo l’ennesimo femminicidio, quello di Giulia Cecchettin.
Ne parlo in questo contesto, perché il capitolo più difficile da scrivere è stato per me quello in cui Cristina subisce violenza da parte di uno dei suoi collaboratori per difendere la governante di sua figlia, nonché sua cara amica e confidente: Miss Parker.
Le testimonianze su questo episodio della vita della principessa lombarda sono varie, basti pensare che ci sono 16 biografie su di lei (di cui anche una per bambini), e toccano diversi punti. Ciò su cui più si insite è innanzitutto il silenzio e la vergogna di Miss Parker nel nascondere all’amica i segni delle violenze subite, l’importanza dell’alleanza tra donne, il tragico destino di una donna che viene sfigurata per sempre e ciò che comporta la perdita della bellezza. Per quest’ultimo punto mi sono rivolta alle immortali parole di Oriana Fallaci che ho parafrasato.
“Nonostante tutte le cure che ricevette, le ferite che subì durante l’aggressione lasciarono sul suo corpo un segno indelebile, la lesione sul collo era talmente profonda, che la costrinse a una posizione innaturale e dolorosa. Il suo collo sottile e candido come quello di un cigno era stato piegato dalla forza bruta di un uomo violento. Nonostante tutto il suo orgoglio, Cristina non avrebbe mai più potuto tenere il collo in posizione eretta, sarebbe per sempre rimasto piegato a ricordare il dolore dell’aggressione subita. È così che sarebbe dovuta rientrare in patria, senza più la sua bellezza, la sua unica arma: la sola che in una donna perdona l’intelligenza.”
Tuttavia, ciò che non ho trovato nelle biografie, anche recenti, su Cristina Trivulzio di Belgiojoso, e che invece mi sono sforzata di specificare nel mio libro, è che non si tratta di una violenza come un’altra, ma di è una specifica forma di violenza, quella di genere: quella di un uomo nei confronti di una donna. Di un uomo che si sente superiore in quanto appartenente al genere maschile e che per questo si sente di poter abusare con la forza di una donna, che considera “sua”. E questo perché la donna è “una poco di buono”.
“Lorenzoni abbassò lo sguardo e borbottò qualcosa, non riusciva a reggere l’umiliazione di venir rimproverato da una donna; quindi, si voltò dall’altra parte alzando appena il cappello in cenno di saluto. Non appena Cristina se ne fu andata, sputò due volte per terra in preda alla rabbia tirò anche un calcio al secchio del fieno, deciso a vendicarsi. «Queste donne, chi si credono di essere? Sarà anche una principessa, ma è pur sempre una donna e io sono un uomo e faccio quello che mi pare con una poco di buono come quell’inglese. Una donnaccia che non merita alcun rispetto, gliela farò vedere io chi comanda qui!», disse tra sé e sé in preda all’ira.”
La responsabilità di scrivere di questo tipo di violenza, che porta ai suoi estremi al feminincidio, la morte viene evitata da Cristina per un pelo e solo perché lei era una guaritrice ed è riuscita a curarsi da sola grazie alle sue conoscenze, è stata emotivamente impegnativa. Non solo perché Cristina è rimasta sfigurata per il resto della sua vita, ma anche perché mi sono sentita addosso tutto il peso della responsabilità di trasmettere a bambine e bambini il giusto messaggio.
“Chi non rispetta gli altri è una persona che non rispetta sé stessa e sicuramente Lorenzoni stimava il proprio valore di molto inferiore alla fiaschetta di liquore che aveva nelle tasche e a cui si attaccò con avidità.”
Da madre, prima che scrittrice di libri per bambine e bambini, mi sono posta il problema di come trasmettere al meglio questo messaggio di rispetto, consapevole del fatto che c’è ancora tantissimo lavoro da fare nell’educazione alla parità di genere. Tante volte si omettono dalle narrazioni per l’infanzia importanti insegnamenti per paura di generare insicurezze o “deviazioni” dal sistema di valori di riferimento socialmente accettato. Per questo motivo penso sia importante non omettere nulla, mettendomi in ascolto e a disposizione per rispondere a qualsiasi domanda, restando fedele ai fatti. Penso che questo sia il compito di ogni genitore e in generale di ogni adulto.
Cristina, per prima, ha dato un forte esempio in questa direzione, non solo nel modo in cui ha saputo reagire all'aggressione, ma anche nei suoi scritti dove si è molto occupata delle donne e della loro condizione sia in Europa sia in Asia Minore.
"Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità !"
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