Questo libro lo dovrebbero leggere tutti. Non tanto perché ha vinto il Premio Strega Europeo o perché è scritto in prima persona, oppure perché tratta la tematica ora (finalmente) al centro dell’attenzione dell’abuso sessuale, ma soprattutto perché fa bene, nel senso che fa riflettere.
L’autrice, come un chirurgo, analizza, viviseziona scardina l’Evento, che è poi il trauma che ha determinato la sua intera Esistenza. Il libro è molto colto perché per arrivare a questo presupposto (“Per chi non ha conosciuto altro che quell’esperienza, tutto si struttura a partire dall’oppressione. Non esiste un sé non dominato, un equilibrio a cui si potrebbe tornare una volta terminata la violenza”), passa da Foucualt-Deleuze- Heidegger-Antonin Artaud, citati uno dopo l’altro in una stessa pagina.
“Alla fine fine, la celebre frase di Artaud (citata da tutti, in tutte le salse), quella che dice che nessuno ja mai scritto o dipinto, sclpito, modellato, costruito, inventato se non, di fatto, per uscire dall’inferno, forse è uno scandaloso equivoco. In realtà accade il contrario, vale a dire colui che scrive, disegna ecc. è già uscito dall’inferno proprio per questo può farlo.”
Si tratta quindi sì di un memorial, in prima persona, un autobiografia, ma in un certo senso anche di un saggio. Aggiungerei fenomenologico. Quindi l’autrice per capire e far capire cosa accade in un abuso, o meglio a chi è vittima di un abuso, tratta l’argomento come un topos letterario ed è questa la strada che segue per andare a fondo alla sua analisi. Questo significa niente psicanalisi, niente teorie femministe, ma tanta tantissima letteratura e un po' di filosofia come termini di confronto/scontro rispetto alla sua esperienza.
C’è un Io, una storia molto personale e poi ci sono “gli altri”, “le altre”. La consapevolezza della infinita possibilità del desiderio. Goliarda Sapienza, Diana J. Torres, Virginia Despentes. Virginia Woolf… come è stato per loro? Foucault, in un’intervista su France Culture ribadisce che “il desiderio non ha età”. Ma è davvero così? Si può davvero non universalizzare il crimine?
“Questa rappresentazione del bambino abusato come padrone del proprio destino è seducente perché trasgressiva, ci permette di concepire un’idea di vittima che non corrisponde a quella che la società impone, una vittima distrutta da quello che le hanno fatto subire.”
Su questo l’autrice non si contraddice, è chiaro che secondo lei è possibile immaginare una vittima non distrutta dall’abuso, ma il carnefice no, il carnefice non può essere redento. Lucidissima nelle sue analisi, vede anche altre possibilità, ma non le accoglie per se stessa.
“Non dovrei generalizzare, così facendo il rischio di sbagliare è alto. C’è chi arriva perfino a immaginare che quell’atto crei felicità.”
Come dicevo all’inizio, questo libro ha vinto il Premio Strega Europeo, e ora in milioni di persone stanno entrando nella vita dell’autrice e lei ne è fortemente consapevole, mette in guardia i suoi lettori e le sue lettrice. Ma sembra che proprio questa modalità “stalker” sia quella che si predilige ultimamente basta vedere ciò a cui ci siamo abituati con i vari social e cosa raccontano i successi mediatici. Grandissimo a proposito, il successo di Baby Reindeer, che mi sento di poter accostare a questo libro unicamente per lo stile del memorial noir e per l’interesse ricevuto.
Ho apprezzato moltissimo questo libro in generale, il fatto che sia così lucido e colto, ma anche onesto. È la prima volta che leggo da parte di un artista una dichiarazione di sconfitta, se così la si può chiamare. Forse, mi vien da pensare, è proprio questa la forza del libro. Il fatto che non sempre ci si può salvare. Che da alcune cose non ci si può salvare.
“Che cosa ci salva? La letteratura può salvarci? La scrittura come terapia è una visione che ho sempre trovato discutibile. Come se raccontare, raccontarsi, condividere la propria sofferenza fosse la strada verso la redenzione.”
A questo punto verrebbe da chiedersi ma anche qui l’autrice ci ha già preceduto: “perchè scrivere questo libro?” La risposta è la più bella che c’è ed è anche l’unica possibile e fa eco all’altra domanda “Perché denunciare l’abuso? Perché denunciarlo con il rischio per altro di non essere credute?”
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