Finalmente vi parlo di Plath - tra l'altro in questa nuova meravigliosa edizione illustrata- , almeno evito di continuare a farmi dei monologhi in testa, o meglio dei dialoghi immaginari con quest’autrice che non c’è più. Che aveva tutto e ha deciso di farla finita ( tra l’altro anche Marilyn..) e continuo a chiedermi/le “perché?” E so che è una domanda molto stupida.
Mi sono approcciata all’opera di Plath anni fa a partire dalle sue poesie che ho sempre amato e la forza delle sue metafore mi resta sotto pelle tanto da chiedermi se ( per quanto mi riguarda) ha ancora senso scrivere…
Ciò che ora le chiederei riguarderebbe il tema del suicidio. Leggerne e poi conoscere la sua biografia fa male. (Quanti modi esistono per farla finita? Quanti modi prettamente femminili? “Lo scoglio rotondo tra cielo e mare simile a un teschio grigio…” la domanda è molto interessante perché risale ai grandi archetipi femminili della nostra cultura occidentale ( Fedra, Medea..) e poi cambiato molto?
Io sono
Io sono
Io sono
Questa madre che aleggia ovunque, ma quasi come un non detto, perché in realtà non sembra far nulla che non vada bene e comunque crea disagio. Solo per esserci.
“Ti dico che la madre lo uccide.”
Non potendo prescindere dalla sua biografia, questo romanzo in qualche modo ci affranca tutti da una recentissima storia o modo di scrivere le storie in cui la depressione è ammessa e giustificata, a patto che … vi sia in origine un trauma, o meglio in base a quanto sia stato invasivo il trauma subito nell’infanzia . Ma se non ce ne è nessuno, o se il trauma e’ solo e semplicemente esistere ( o avere una madre) o non riuscire più a scrivere e questa esistenza è insopportabile? Poi a posteriori si possono andare a trovare mille “ giustificazioni” ma quello che più ho apprezzato è che a Plath non servono. Il fatto che “ non so più leggere né’ scrivere” ( vuol dire che sono scema) per questo non voglio più vivere.
E ora vi parlo della recente uscita di Fazi Editore Le ultime confessioni di Sylvia P.
senz’altro per me il merito di Lee Kravetz è stato quello immenso di avermi fatto leggere La campana di vetro, anche perché per approcciarsi al suo romanzo bisogna averlo letto. Per capire quello che dice tra le righe, quello che riguarda la biografia di Plath, la sua bibliografia e quella che invece è farina del sacco dell’autrice. Per il resto trovo che sia ben scritto e curato. Originale la scelta di intersecare più piani, ivi compresa una rivisitazione dell’ultima parte de La campana di vetro con l’ospedale psichiatrico e l’elettroshock. Salto temporale tra gli anni ‘50 e i giorni nostri.
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