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L'airone della pioggia, di Robbie Arnott



Con L’airone della pioggia, vincitore del The Age Book of the Year Award, lo scrittore australiano Robbie Arnott propone una favola moderna che, con una scrittura lineare ed evocativa allo stesso tempo, affronta due grandi temi della nostra contemporaneità: il cambiamento climatico e il conflitto bellico, sintetizzati da un’immagine potente e leggendaria: l’airone della pioggia, un essere straordinario e maestoso in grado di controllare gli elementi naturali, di far scoppiare tempeste e scatenare siccità. Proprio per questa ragione, la creatura diviene oggetto delle mire di un gruppo di soldati, capitanati dalla spietata tenente Harker. Viene coinvolta suo malgrado, no, coinvolta nella ricerca della creatura. Viene coinvolta, suo malgrado, in tale caccia, la protagonista della nostra storia, ovvero l’anziana e bonaria eremita Ren, poiché custodisce il segreto del nascondiglio dell’airone, avendolo visto una volta da bambina.


Il punto di forza del romanzo di Arnott è la sua natura fiabesca: il rifiuto di situarsi in un tempo e in uno spazio determinati, pur riflettendo necessariamente i paradossi e le conflittualità contemporanee, fa sì che il messaggio dell’opera si erga a metafora universale, applicabile a ogni luogo e a ogni tempo. Dato che nel romanzo si racconta di una forma di dittatura militare che occupa luoghi che non le appartengono, piegando e plasmando le vite di coloro che vi abitano, alcuni vi hanno visto lo specchio dei recenti conflitti in Ucraina o a Gaza, ma credo che sia piuttosto riduttivo considerare il romanzo uno metafora della contingenza: in fondo, ogni conflitto determina la creazione di dinamiche distruttive per chi ne è vittima, e, come ci racconta brillantemente Arnott, per gli ambienti che ne fanno da scenario. Ne L’airone della pioggia, lo “scenario”, ovvero la natura indomabile, affascinante e a tratti ostile è centrale, e, pur con le sue insidie, si trasforma in un rifugio per gli oppressi, uno strumento per combattere la follia delle azioni umane, ricordandoci, come il Moby Dick di Melville, altra creatura allegorica e straordinaria, i nostri limiti di esseri umani. 

“Quando era tornata sulla montagna da adulta era molto più vecchia. Era anche più dura, più arrabbiata, piena di dolore, meno incline a fidarsi e parlare, e non era andata a cercare l’airone. Doveva trovare il cibo, costruirsi un rifugio; non c’era tempo per arrampicarsi sulla cima più alta, per appiattirsi contro pareti di roccia, non quando doveva affrontare le notti gelide e i morsi della fame. Non era andata sulla montagna per l’airone della pioggia, ma per fuggire.”

Al tema della guerra, delle sue conseguenze materiali e morali, non può che intrecciarsi il tema della memoria, la memoria di un passato traumatico che si insinua nella mente di Ren sottoforma di dolorosi ricordi intrusivi. Ed è proprio un passato traumatico ad unire Ren e la sua “antagonista” Harker in particolare, costruendo una dinamica che evita ogni manicheismo.

Infine, al di là dei simbolismi più manifesti, legati alla forza della natura che si contrappone alle dinamiche della guerra, della distruzione sistematica, credo che l’airone del titolo possa rappresentare anche un potente simbolo metanarrativo: come il “Big Fish” del capolavoro di Tim Burton, un’altra fiaba contemporanea in cui il pesce è una creatura leggendaria che costituisce il culmine delle innumerevoli finzioni, delle “fiabe” che il protagonista si racconta e ci racconta, anche il nostro airone ci ricorda l’importanza del narrare e del narrarsi, ci ricorda che la realtà (la nostra e quella fuori di noi) raccontata attraverso la lente deformante della fiaba, della finzione, diviene meno terribile e, forse, ci permette di sopravvivere.


di Carlo Speranza

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