Applicando ciò che scrive Friedrich Schulze a proposito delle storie d’amore, che hanno tutte caratteristiche simili, alle storie tristi, sono giunta alla conclusione che se è vero che tutte le storie tristi sono simili, è anche vero che quelle delle donne sono più tristi, ma lo sono ancora di più quelle di chi non si riconosce nel binarismo di genere, di chi è fluido, nel senso che intende in maniera non rigidamente definita in base al sesso, la propria identità.
Questo perché in generale, a prescindere da come ci si voglia raccontare le cose, più ci si allontana dall’ideale dell’uomo maschio, bianco ed eterosessuale, più la vita si fa dura. Potrebbe sembrare a molti una banalità, ma non lo è e non penso soltanto alla politica di Trump. Anche quando mi capita di parlare con persone che non si sono mai approcciate al femminismo o ai gender studies, mi rendo conto che il genere non viene inteso come un costrutto sociale, ma ancora come un fenomeno biologico. In poche parole non viene riconosciuta la distinzione tra sesso e genere. Questo ha forti ricadute forse ancora di più sul "maschile" che sul "femminile", almeno così pare leggendo i romanzi freschi di stampa sull'argomento che prendo qui in considerazione: Wonderfuck e A nessuno è mai fregato un cazzo di cosa è successo a Carlotta.
Entrambi i libri sono tristi, anche se in modo diverso. Nel caso di Wonderfuck si tratta del genere dark humor, una tristezza che si insinua tra le righe, invece A nessuno è mai fregato un cazzo di cosa è successo a Carlotta è un testo nudo e crudo. Le copertine delle edizioni italiane sono tutt'e due fucsia e la scelta editoriale fa riflettere, perché come l’arancione, il fucsia è un colore che si fa notare. Un pugno nell'occhio, insomma, come il rossetto "Red Cherry" sbavato sulla bocca.
E' un tema che in effetti richiede attenzione, un'attenzione nuova, che sia rispettosa, non solo nei confronti di chi ha evidentemente fatto la scelta radicale di “cambiare genere”, come Carlotta, ma anche a cascata di chi, come Jimmie, non si riconosce nell’identità “maschile” socialmente accettata e ancora promossa in gran parte del globo del cosiddetto “maschio alfa”: forte, distaccato dalle proprie emozioni, superiore, volto al comando. Un maschile non stereotipato insomma, capace di rispondere alle esigenze della rivoluzione femminile messa in atto già da secoli, ma a mio avviso raggiungibile solo in una collaborazione congiunta tra i diversi generi.
Un libro tristemente provocatorio un po’ come,
citando l’autrice e applicando al suo libro una delle frasi che ho
subito fatto mia, “l’arancio che, a differenza del grigio, nella sua bruttezza
è molto sicuro di sé.” Il protagonista, Jimmie, evidentemente a disagio con il
proprio corpo e la propria si paragona al colore grigio, considerando gli
altri, le persone che lo circondano, altrettanto insignificanti, anche se più
vicine all’arancione.
“Era una cosa che gli aveva sempre procurato una
sottile gelosia, il fatto che si possa essere così sfrontati riguardo alle
proprie imperfezioni.”
In generale la sensazione è quella di una grande
sfiducia nel genere umano, ormai incapace di trovare o restituire bellezza. Non
sono una grande fan del dark humor, lo trovo alla lunga un po' pesante, ma
questo è un mio gusto personale, trovo comunque che la storia e la
testimonianza di personaggi che sono o si sentono ai margini siano sempre molto
istruttive e utili.
L’ho letto in pochi giorni ma solo perché ho
avuto parecchio da fare ultimamente, sennò in un pomeriggio vola.
A nessuno è mai fregato un cazzo di Carlotta
In questo libro, che è anche una denuncia al sistema carcerario americano, in ogni parola del testo si sente la rabbia che esplode in ogni pagina. Carlotta non si vergona, diversamente da Jimmie, lei sa cosa vuole, ma ha tutti contro: dalla società alla famgilia. Ma non si piega davanti alla triplice discriminazione sessuale, razziale, sociale che cercano di infliggerle, non la subisce. Non penso che questo la renda “arancione”, per riprendere la metafora di Volckmer, fiera delle sue imperfezioni, Carlotta piuttosto è un fuoco: la rabbia le brucia dentro e accende tutto ciò che la circonda. Il libro è molto forte, anche se non direttamente fa intendere anni di abusi, eppure ciò cha alla fine emerge è la consapevolezza di una scelta a prescindere dalle conseguenze, la ricerca di autenticità. Questa per me è la bellezza.
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